Vincenzo Scarantino

criminale italiano

Vincenzo Scarantino (Palermo, 21 ottobre 1965) è stato un criminale italiano, che è stato collaboratore di giustizia nei processi per la Strage di Via D'Amelio. Le sue dichiarazioni hanno assunto un valore determinante nei processi "Borsellino uno" e "Borsellino bis", che hanno portato a sentenze definitive di condanna all'ergastolo di persone innocenti, e sono ritenute al centro di "uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana".[1]

Biografia

Nato a Palermo il 21 ottobre 1965,[2] è cresciuto nel quartiere Guadagna, dove veniva chiamato "Enzo" o "Enzuccio", nonostante la mole imponente.[3] È stato bocciato più volte alle scuole elementari,[4][5] e non ha conseguito la licenza elementare,[6] mantenendo l'incapacità di scrivere in corretto italiano fino ad età adulta.[7] Si è sposato con Rosaria Basile ed hanno avuto tre figli.[3][8] Era un adepto della congregazione religiosa della chiesa dell'Assunta.[9]

Vincenzo Scarantino era cognato del boss mafioso Salvatore Profeta,[3][10] in quanto questi aveva sposato sua sorella Ignazia,[11]; tuttavia Scarantino non era un affiliato di Cosa Nostra.[12][13] Fin dal 1992 è stato presentato alla stampa come venditore di sigarette di contrabbando[14] o schedine del totonero.[15]

Arresto e processi

Tra le auto carbonizzate nell'attentato al giudice Borsellino, una Fiat 126 risultava rubata ad una certa Pietrina Valenti, e così gli inquirenti misero sotto sorveglianza il suo telefono di casa. Ascoltando le conversazioni, ritennero di avere elementi per arrestare, il 5 settembre 1992, suo fratello Luciano Valenti, che con l'amico Salvatore Candura e con un altro parente avrebbero commesso, secondo la polizia, una violenza carnale a scopo di rapina.[16]Salvatore Candura accusò Scarantino di avergli commissionato il furto di quell'automobile, e pertanto Scarantino venne arrestato il 26 settembre 1992.[17]

Venne recluso nel carcere di Venezia e poi nel carcere di massima sicurezza di Pianosa. Nel luglio 1994 il procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra, la sostituta Ilda Boccassini e il vicequestore di Palermo Arnaldo La Barbera annunciarono in una conferenza stampa che Scarantino aveva deciso di "collaborare":[18] avrebbe "confessato" una sua versione di come sarebbe stata decisa e organizzata la strage in cui morì il giudice Borsellino.[19] Scarantino raccontò anche che, nel corso della sua carriera criminale, avrebbe commesso diversi omicidi, sia per strangolamento,[20] sia con una coltellata alla gola, sia con la pistola.[21] La sentenza di primo grado del processo denominato poi Borsellino uno, emessa nel gennaio 1996, fu la condanna a 17 anni di reclusione per il delitto di strage e 1 altro anno per reati minori.[22]

Quando Scarantino si accusò, le opinioni su di lui erano divise: da una parte c'era chi credeva alle sue parole[23], dall'altra c'era chi esprimeva forti dubbi sulla sua credibilità, come raccontano Ilda Boccassini[24][25][26] e Antonio Ingroia[27]. Un tentativo di dimostrare che Scarantino non era affiliato di Cosa nostra fu tentato da un avvocato di Salvatore Profeta, che fece testimoniare più persone nel processo Borsellino uno[28] che raccontarono di una relazione affettiva dello Scarantino di tipo non eterosessuale, sostenendo che Cosa nostra non accettava omosessuali tra i suoi uomini.[29]

Nel 1998 Scarantino ha ammesso di non avere preso parte all'attentato di via D'Amelio e di essere stato costretto da Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo a confessare il falso[23], e di aver subito maltrattamenti durante la sua detenzione nel carcere di Pianosa.[30][31] Ma né le denunce della moglie di Scarantino sulle torture subite né la ritrattazione delle sue iniziali auto-accuse vennero ritenute attendibili: ad esempio l'allora procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli difese l'operato di La Barbera.[32]

Nel 2007 il pentito Gaspare Spatuzza ha confessato di essere stato l'autore del furto dell'auto FIAT 126 usata per l'attentato, scagionando Scarantino e dimostrando che era un falso pentito, usato per sviare le indagini sulla morte di Borsellino.[33][34]

Liberazione

È stato liberato dal carcere di Torino nel 2011 per effetto della sospensione della pena decretata dalla Corte d'appello di Catania a seguito delle rivelazioni di Spatuzza nel processo Borsellino quater; è stato portato in una località segreta in quanto gli investigatori temevano per la sua incolumità.[35]

Nel 2014 ha subito un fermo da parte della squadra mobile di Torino per una presunto abuso sessuale ai danni di una donna con disabilità psichica ospite di una comunità.[19]. Quest'ultimo arresto è avvenuto all'uscita dello studio televisivo del talk show Servizio Pubblico nel corso del quale Scarantino era stato intervistato, con una maschera in volto, a riguardo del suo coinvolgimento nei processi sulla strage di Via D'Amelio.[36]

Nel 2019, sentito come testimone nel processo per i depistaggi sulla strage del 1992, ha rilasciato una deposizione nella quale ha affermato che «era un ragazzo. E se non combaciavano le cose che dovevo dire, loro mi dicevano di non preoccuparmi. Io andavo dai magistrati e ripetevo, quando ci riuscivo, quello che mi facevano studiare.»[37]

Note

Bibliografia

Voci correlate

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