Tumore facciale del diavolo

cancro trasmissibile che ha come unico ospite il diavolo della Tasmania

Il tumore facciale del diavolo (in inglese devil facial tumour disease, abbreviato in DFTD) è una forma di cancro trasmissibile a origine non virale che colpisce unicamente il diavolo della Tasmania (Sarcophilus harrisii). Esso ha origine probabilmente a partire dalle cellule di Schwann[1][2], come dimostrato dall'analisi del trascrittoma delle cellule tumorali[3][4].

Diavolo orsino affetto da DFTD in forma avanzata: il tessuto neoplastico, formandosi all'interno della bocca e sul muso, può andare ad ostacolare l'alimentazione o la vista, portando l'animale alla morte per inedia.

Diagnosticato per la prima volta nel 1996 in Tasmania nord-orientale, il DFTD si è diffuso in pochi anni nel 65% della Tasmania (zona centro-orientale dell'isola, mentre le aree nord-occidentali e meridionali pare siano ancora libere dal contagio), decimando la popolazione selvatica del diavolo della Tasmania: le stime sull'impatto della malattia parlano di una riduzione in numero compresa fra il 20% e il 50%[5][6].

La malattia si manifesta con la comparsa di formazioni neoplastiche attorno agli occhi e alla bocca (ed a uno stadio avanzato anche all'interno di essa), che ostacolano le normali attività di ricerca del cibo e nutrizione, portando nella maggior parte dei casi alla morte per inedia nel giro di pochi mesi.

Nel 2011, è stato stimato che il costo per la salvaguardia della specie ammonterebbe a circa 11 milioni di dollari[7]. Nel caso in cui non venissero presi provvedimenti per l'epidemia o non venga trovato un vaccino, ai ritmi attuali (diminuzione numerica del 70% dal 1996 ad oggi) l'estinzione in natura del diavolo della Tasmania è prevista per il 2035[8].

Storia

Diffusione del DFTD nel 2007[9].

Nel 1996, nei pressi del monte William (Tasmania nord-orientale), vennero osservati e fotografati numerosi diavoli orsini affetti da tumore facciale: nello stesso periodo, le ricerche effettuate sul campo evidenziarono un netto calo della popolazione selvatica di questi animali. Il primo approccio scientifico alla malattia avvenne nel 1999 con la cattura e lo studio di un esemplare infetto nei pressi di Little Swanport e di altri tre esemplari nel 2001, sulla penisola di Freycinet[10]. Nel 2003 il naturalista Nick Mooney, a fronte del calo costante della popolazione di diavoli della Tasmania, fece circolare una richiesta a tutti i parchi naturali tasmaniani per far sì che ci fosse una richiesta attiva di fondi per lo studio del tumore facciale del diavolo: tale richiesta giunse anche all'allora ministro dell'ambiente tasmaniano Bryan Green, che lanciò una campagna statale di raccolta fondi e organizzò gruppi di studio per cercare di comprendere e se possibile fermare il diffondersi del DFTD. Nel settembre dello stesso anno, Mooney cercò di informare la popolazione dell'esistenza del DFTD (allora attribuito a cause virali) in un articolo su un giornale locale[11]: le critiche rivolte dalla comunità scientifica al governo tasmaniano (giudicato colpevole di non stanziare fondi sufficienti per lo studio di quella che poteva essere una zoonosi) fecero sì che si cominciasse a studiare la malattia con mezzi migliori[12].

Nel 2004, durante delle ricerche, in alcuni musei europei vennero ritrovati dei crani di diavolo orsino dalla forma insolita, la cui deformità venne attribuita a una possibile infezione di DFTD: fra i bollettini dello zoo di Londra, inoltre, venne trovata la descrizione di una malattia di un diavolo della Tasmania ivi ospitato attribuibile a un caso di tumore facciale[13].

Nel 2006, il DFTD venne classificato nella lista B secondo i criteri dell'Animal Health Act australiano del 1995[14][15] e cominciò la cattura di esemplari sani al fine di ottenere una popolazione stabile e libera dalla malattia in regime di semilibertà[16].

Eziologia

L'agente eziologico del DFTD sono le cellule tumorali stesse (allotrapianto), con l'infezione che può avvenire attraverso l'accoppiamento (il maschio è solito mordere la femmina durante l'atto, infettandola), i combattimenti od attraverso il semplice nutrirsi dello stesso cibo[17]. Tale ipotesi, inizialmente scartata a favore di una trasmissione virale del tumore, si rivelò invece corretta quando un esemplare selvatico di diavolo orsino presentante un'anomalia cromosomica venne infettato: l'analisi delle cellule tumorali rivelò che esse presentavano corredo cromosomico tipico, il che significava che esse non si erano originate a partire dal corpo dell'animale, ma vi erano giunte da un altro esemplare con corredo cromosomico tipico[18][19].
Le cellule tumorali sono caratterizzate dalla presenza di 13 cromosomi (mentre una cellula sana di diavolo orsino ne contiene 14)[20]: questi sono disposti regolarmente in tutte le cellule (per quanto il cariotipo si presenti anomalo, in maniera simile a quanto avviene nel Tumore venereo trasmissibile), facendo pensare che il DFTD appartenga alla famiglia dei Tumori neuroendocrini[21].

La diffusione del DFTD nella popolazione selvatica di diavolo della Tasmania è facilitata, oltre che dalle modalità d'interazione fra i vari individui, dalla bassa variabilità genetica di questi animali, specialmente a livello del complesso maggiore di istocompatibilità: tale bassa variabilità (che rimane tale anche nelle cellule tumorali[22]) fa sì che quando un animale viene infettato da cellule tumorali di un altro esemplare, esse non vengono riconosciute come corpi estranei dal sistema immunitario[23].
Nell'ambito del sequenziamento del codice genetico del diavolo orsino, delle analisi effettuate sulle molecole di classe I del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) di questi animali hanno mostrato l'esistenza di 25 "tipi" diversi, con differenze crescenti in direttrice nord-ovest/est. Nell'area orientale dell'isola il 70% dei diavoli della Tasmania presenta un tipo associato all'insorgenza del DFTD (in particolare il 30% di essi presenta tipo 1, il 24% tipo A, la rimanente percentuale si divide fra i tipi D e G), mentre a ovest poco più della metà degli animali appartengono a una di queste categorie: sono invece presenti tipi endemici di questa zona[24]. Ciò significa che, pur presentando diversità genetica minore, nella popolazione nord-occidentale di diavolo della Tasmania tale diversità si manifesta principalmente a livello dei geni del MHC, consentendo maggiore resistenza al DFTD in quanto le cellule tumorali vengono riconosciute come estranee, scatenando la risposta immunitaria[25][26].

Nel 2008 da esami chimici effettuati sul tessuto adiposo di 16 individui colpiti da DFTD è emersa la presenza di forti dosi di elementi chimici tossici e potenzialmente cancerogeni: in particolare, è stata evidenziata la presenza di BB153 (esabromodifenile) e BDE209 (decabromodifenile), appartenenti alla categoria dei PBDE (eteri difenili polibrominati) e utilizzati comunemente come ritardanti di fiamma in molti oggetti di uso comune[27]. In passato era stata chiesta la messa al bando di questi composti ai sensi della convenzione di Stoccolma: tuttavia, le industrie produttrici di BDE209 avevano espressamente negato la possibilità di bioaccumulo da parte del composto, che si era pertanto imposto sui prodotti concorrenti proprio per questa caratteristica[28].

Patologia

Una volta infettato l'animale (a causa delle modalità d'interazione sociale del diavolo orsino l'infezione avviene a livello della testa, da cui il nome di "tumore facciale"), le cellule tumorali cominciano a moltiplicarsi, portando all'ingrossamento del tessuto. Le formazioni neoplasiche, ingrossandosi, arrivano a impedire l'assunzione di cibo da parte dell'animale, che generalmente infatti muore d'inedia a pochi mesi dal contagio: il DFTD ha tendenza a dare metastasi a livello dei linfonodi e del cuore[29], e i tumori più avanzati spesso comportano anche il parziale dissolvimento delle ossa craniche.

L'espansione del DFTD ha avuto effetti anche sul comportamento riproduttivo: mentre in condizioni normali le femmine cominciano a riprodursi a partire dal secondo anno d'età, per poi riprodursi annualmente, negli ultimi anni gli studiosi della specie sul campo hanno registrato una tendenza delle femmine ad accoppiarsi e riprodursi già a partire dal primo estro (un anno d'età), morendo a causa del tumore facciale poco dopo l'avvenuto svezzamento della nidiata[30].

Misure per la conservazione

Non è ancora stato possibile approntare un vaccino o una cura efficace per questo male[31], sicché l'unica maniera per arginarne gli effetti sulla popolazione selvatica è isolare il prima possibile gli individui infetti, per evitare che diffondano il contagio.

La penisola di Tasman, considerata un'area libera dal DFTD in quanto accessibile solo attraverso uno stretto passaggio, è stata isolata con barriere fisiche e periodicamente il governo tasmaniano effettua spedizioni atte ad individuare ed eliminare eventuali soggetti portatori del tumore[32].
Sono inoltre in atto catture mirate di esemplari sani, messi in quarantena per salvaguardare il biotipo in caso di distruzione della specie allo stato selvatico: a questo scopo vengono allevate in condizioni di semilibertà due "popolazioni di sicurezza", una nel villaggio di Taroona (sito nei pressi della capitale tasmaniana Hobart) e una su Maria Island, al largo della costa orientale della Tasmania. Operano in supporto al salvataggio delle informazioni genetiche anche lo Healesville Sanctuary di Melbourne e il Taronga Zoo di Sydney[33]. Nel gennaio 2010, il numero di diavoli della Tasmania ospitati in queste strutture ammontava a 277 esemplari[34].
Un altro progetto importante, a cura dell'Australian Reptile Park, prevede la riproduzione di esemplari sani in cattività fino a raggiungere le mille unità, scegliendo con cura i riproduttori per aumentare il più possibile la variabilità genetica[35].

In casi estremi, sono stati studiati piani di crioconservazione degli ovuli fecondati di diavolo della Tasmania; negli esperimenti effettuati finora, il tasso di sopravvivenza delle cellule è del 70%[36].

Terapia

Sono stati finora descritti nove ceppi del tumore facciale del diavolo, il che indica un'evoluzione della malattia con conseguente aumento della difficoltà di trovare vaccini validi[37] e addirittura possibilità di infettare in futuro anche specie filogeneticamente vicine al diavolo orsino, come i dasiuri[38].
La vaccinazione con utilizzo di cellule tumorali irradiate (impossibilitate perciò a riprodursi) non ha dato risultati[39].

Nel 2009 è stato sviluppato un test per riconoscere la presenza del tumore a partire da un semplice campione di sangue, velocizzando la diagnosi della malattia e consentendo agli studiosi di avere in fretta materiale da studiare, senza ricorrere a biopsie[40].

Nel 2010 sembrò che la terapia con EBC-46, sostanza utilizzata nella cura dei tumori facciali in cani, gatti e cavalli, desse risultati positivi anche per il tumore facciale del diavolo: tuttavia, le aspettative attorno a questa possibile cura vennero presto deluse, in quanto non venne riconosciuto alcun effetto benefico particolare della sostanza sul diavolo orsino[41].

Nel giugno 2005, una femmina mostrò resistenza parziale al DFTD: da allora, il numero di femmine con questa caratteristica è salito a tre[42].
Nel 2008, un esemplare (chiamato Cedric) sembrò essere resistente alla malattia: tuttavia, alcuni mesi dopo le sperimentazioni, sviluppò due tumori, che vennero rimossi[43]. Dopo l'asporto del tessuto neoplasico, l'animale sembrava essersi ripreso bene, ma nel settembre 2010 la scoperta di una metastasi nei polmoni portò gli studiosi a decidere di sopprimere l'esemplare[44].

Note

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