Mosaico di Otranto

mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto

Il Mosaico di Otranto ricopre il pavimento delle tre navate della cattedrale di Santa Maria Annunziata della città pugliese, e fu eseguito dal monaco Pantaleone su commissione del vescovo di Otranto, tra il 1163 e il 1165. Esso rappresenta uno dei più importanti cicli musivi del medioevo italiano.

Mosaico di Otranto, Zodiaco.

Le rappresentazioni del mosaico

Particolare del mosaico di Otranto.
Alessandro in volo tra due grifoni.

Questa opera, originale e conservata nella quasi totalità delle sue parti, offre uno spaccato della cultura del Medioevo e ci presenta un percorso in un labirinto teologico di cui, a volte, sfugge la vera interpretazione iconologica.

L'opera ha come figura centrale l'Albero della vita, lungo il quale si dipanano le principali rappresentazioni.[1] Al vertice dell'albero è l'immagine del Peccato originale e cioè la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino dell'Eden, con il serpente del peccato che insidia Eva. Questo episodio, centrale per la narrazione del mosaico, è preceduto in alto, nell'area del presbiterio, da diverse figure, racchiuse in sedici medaglioni, che rimandano ad animali o figure umane mitiche (con un significato allegorico non sempre chiaro all'osservatore contemporaneo): un Toro, un Behemot, un Leviatano che inghiotte una lepre e viene a sua volta assalito da un leone che ne addenta la coda sbilanciandosi sulle zampe posteriori, un Dromedario rampante, un Elefante con stella a cinque punte, una Lonza con volpe insanguinata, un'Antilope, un Centauro, un Cervo ferito, un Unicorno (quest'ultimo, si ritiene, affiancato dalla raffigurazione di Pantaleone), la Regina di Saba, il Re Salomone, una sirena che stringe le sue due code, un Leopardo e un Ariete. Fra alcuni medaglioni sono anche presenti figure animali, fra cui un asino che suona la lira.

Veduta d'insieme del Mosaico di Otranto

Nell'abside sono presenti gli episodi dal Libro di Giona, ma anche una scena di caccia al cinghiale. Si rappresenta poi Sansone che lotta contro un leone, un gigantesco drago alato che stritola fra le sue spire un cervo, due scimmie che mangiano frutta, un essere umano con testa d'asino, altre tre figure umane.

Ritornando poi al presbiterio, al punto in cui Adamo ed Eva assumono il frutto del peccato, si discende l'Albero della vita così seguendo la narrazione voluta da Pantaleone. Aspetto, questo, degno di nota, in quanto si sarebbe potuto supporre che la "cronologia" della narrazione partisse dalle radici dell'albero per svilupparsi verso l'alto lungo il suo tronco. Invece accade il contrario: il racconto si dipana verso il basso discendendo il tronco, con i rami e foglie che si sviluppano intorno ad ogni figura, come se l'albero, crescendo, avesse portato verso l'alto gli eventi accaduti al momento della sua prima nascita e sviluppo.

Al di sotto del presbiterio, oltre un'area danneggiata attualmente priva della decorazione musiva, il mosaico riprende dunque con l'episodio di Adamo ed Eva, prima nascosti da Dio (nella parte sinistra della navata) e poi, a destra, cacciati, da parte di un cherubino, fuori dal Paradiso Terrestre, la cui porta è custodita da un uomo con un bastone. Aspetto sorprendente è che le due figure bibliche di Adamo ed Eva, mentre escono dal Paradiso Terrestre sono seguite da uno dei protagonisti del ciclo bretone e cioè Re Artù, a cavallo di un caprone e fronteggiate da un animale che appare un grosso felino.

Andando a destra, si sviluppa poi la vicenda di Caino e Abele. Procedendo verso il basso, vi sono dodici medaglioni che raffigurano il ciclo dei mesi, il loro nome, i segni zodiacali corrispondenti e le varie attività che l'uomo svolge sulla terra, una volta cacciato dall'Eden, come, ad esempio, la raccolta del grano, la produzione del vino, l'aratura dei terreni, il pascolo, la caccia al cinghiale, l'allevamento dei maiali, ma anche scene di ozio, come un uomo nudo che si pulisce i piedi, oppure una donna molto elegante seduta su uno sgabello.

Si osserva poi la rappresentazione del Diluvio Universale e delle gesta di Noè e, sotto, sulla parte destra della navata, della costruzione della Torre di Babele. Compaiono poi altre figure fantastiche: un animale con quattro corpi e una testa umana, un drago, la dea Diana che uccide un cervo con la freccia, un centauro, una scena di combattimento fra due uomini dotati di mazze e scudi, con accanto un cavallo, altre figure zoomorfe e antropomorfe di diverse dimensioni. Fra queste, si trovano anche immagini di particolare interesse: una scacchiera; Alessandro Magno che ascende al cielo sopra due grifoni; due cavalieri nudi che suonano l'olifante. Alle radici dell'albero sono poi raffigurati due grandi elefanti.

Secondo autorevoli interpretazioni[2], nella parte bassa dell'Albero della Vita vi è una rappresentazione del monoteismo e del politeismo. La figura quadricorporea monocefala è simbolo del monoteismo cattolico; lo scacchiere dell'essere è segno del monoteismo islamico e l'animale androcefalo (a testa umana) è simbolo del monoteismo egiziano. I due atleti armati di bastone, di scudo e calzari, sono simboli della parola di Dio, della fede e della carità, armi del cristiano per combattere i nemici della Fede. Il politeismo ellenistico e vichingo è racchiuso nel pannello con Alessandro Magno. Concludono la raffigurazione i due cavalieri con l'olifante, simboleggianti il paladino Orlando che diede la propria vita a Roncisvalle. I due elefanti indiani che sostengono l'Albero della Vita raffigurano la fiaba di Barlaam e Iosafat.

Nella navata destra della Cattedrale si sviluppa un'ulteriore parte del mosaico, in cui, fra i rami di un altro Albero, si osservano figure zoomorfe, mitiche ed umane. Fra queste ultime un Atlante che sembra reggere un Sole policromo e un uomo indicato come Samuele.

Nella navata sinistra, ancora un Albero, questa volta del Giudizio Universale, divide l'area in due parti: quella a sinistra relativa al Paradiso e dunque alla Redenzione, e quella a destra dedicata all'Inferno e dunque alla Dannazione. Nella prima si osservano un cervo; i tre Patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe, che, secondo l'iconografia bizantina, accolgono gli uomini eletti al Paradiso; sotto, uomini, piante e animali forse nel giardino dell'Eden. Nell'area della Dannazione si trovano: un angelo che, tenendo la bilancia, sembra giudicare i peccati dei dannati (la Psicostasia è molto frequente negli affreschi dell'epoca); sotto di lui, un diavolo che con un tridente è intento ad alimentare la fiamma che riscalda una fornace nella quale viene gettato un dannato; rivolgendo lo sguardo verso le figure soprastanti, si trovano due mostri, uno più grande e uno più piccolo, che inghiottono uomini; tre uomini allineati (che, per le cappe bianche che li accomunano, potrebbero essere Eresiarchi) e avvinghiati da serpenti; una donna ignuda, avvinghiata anche lei da serpenti e additata da un altro dannato gettato fra le fiamme; a fianco, una figura umana gigantesca (forse un altro diavolo oppure Caronte); al di sopra di tutti Satana che accoglie un dannato.

Collocazione storica e altre opere coeve

Il mosaico di Pantaleone è un'opera grandiosa, animata da un senso di horror vacui per l'estro compositivo che la attraversa, ed è stata paragonata a un'enciclopedia di immagini del tempo e della cultura del Medioevo[3]. Essa non sembra trovare corrispettivi, per complessità e livello di elaborazione, con altri mosaici coevi, perlomeno giunti fino a noi. Altre composizioni musive, di epoca vicina a quella della cattedrale di Otranto, si trovano in altre chiese romaniche in Puglia:

o anche in altre regioni, come nell'abbazia di Santa Maria del Patire in Calabria. In essi si ritrovano stilemi e figure utilizzate da Pantaleone[4], ma in nessuno di questi si riscontra il livello di raffinatezza, complessità e conservazione come quello in Otranto.

Oltre che con la tradizione musiva dell'arte bizantina[5], lo stile di Pantaleone va sicuramente collegato con l'arte romanica e in particolare con la scultura romanica. È infatti in essa che si ritrova molta della iconografia del mosaico: le figure immaginifiche del Bestiario medievale (grifoni; draghi; sirene; ecc.)[6]; le narrazioni dell'Antico Testamento (Giona; Sansone; Diluvio universale; ecc.); la descrizione dei mesi dell'anno; la rappresentazione delle scene dell'Inferno.

Parte destra del timpano della Cattedrale Romanica di Sainte-Foy de Conques in Francia - Un raffronto con le scene dell'Inferno del Mosaico di Otranto

I riferimenti alla scultura romanica permettono anche di ritrovare in altre decorazioni di cattedrali coeve la figura di Re Artù[7], come pure l'Ascensione di Alessandro Magno che è un episodio del Romanzo di Alessandro, testo ellenistico assai diffuso in varie versioni nel Medioevo e reso ancora vivo dalla coeva composizione da parte di Gualtiero di Châtillon dell'Alexandreis[8], come ancora la stessa scacchiera[9] sulla parte inferiore sinistra del mosaico.

È come se Pantaleone avesse usato il mosaico per inserire fra i rami dell'Albero della vita le immagini della cultura del tempo, prendendole a prestito, come detto, dalla scultura romanica ma anche dall'arte decorativa orientale (bizantina e araba). Nello stesso periodo in altri luoghi dell'Europa Occidentale la stessa cultura (popolare e letteraria) veniva trasposta sulla pietra dei capitelli e dei portali delle nuove cattedrali. Del resto, un esempio di questa nuova cultura plastica è visibile proprio nei capitelli presenti nella sottostante Cripta della Cattedrale[10].

Il fine era probabilmente sempre lo stesso: utilizzare le immagini come strumenti pedagogici, come allegorie della lotta multiforme fra bene e male, comprensibili ai molti (e non solo a ristrette élite), che essi fossero fedeli del luogo, oppure viandanti, pellegrini o crociati i quali usavano Otranto come tappa importante per il viaggio in Terra santa[11].

Pur coi riferimenti storici appena descritti, il mosaico di Otranto presenta ancora moltissimi aspetti che ancora non trovano spiegazioni condivise fra i suoi studiosi. Fra essi, basti ricordare la scelta di Pantaleone di utilizzare l'Albero della vita per ripartire gli spazi "narrativi" dell'opera musiva, scelta che non trova riscontro in alcun altro mosaico dell'epoca. Dal punto di vista meramente stilistico, però, questa scelta troverebbe, ancora una volta, riscontro nella scultura dei portali di molte chiese romaniche, dove non l'Albero della Vita, bensì il tralcio di vite o quello di acanto vengono spesso utilizzati per dare "ritmo" e ordine alle rappresentazioni religiose o allegoriche. Dal punto di vista invece della simbologia, i rimandi sono ovviamente molteplici: dall'Albero della Vita posto nell'Eden, a quello rappresentato nella Cabala, come anche all'"Albero dell'estremo confine", Sidrat al-Muntahā o del settimo cielo, secondo la religione islamica.

Altro argomento di frequente dibattito è la totale assenza di raffigurazioni di scene, come anche di personaggi, del Nuovo Testamento. Tale assenza ha trovato forse spiegazione nel divieto[12] di far calpestare tali figure da parte dei fedeli, aspetto che effettivamente si riconosce in altri mosaici pavimentali dell'epoca. Un'altra spiegazione potrebbe essere il tentativo, da parte di Pantaleone, di rappresentare allegorie che fossero comprensibili e accettate da più comunità religiose, peraltro ben presenti nella città di Otranto di allora, quali quelle cristiane latine, quelle cristiane ortodosse nonché quelle di religione ebraica.

Ancora, rimane non comprensibile per quale ragione, la figura di Re Artù risulti collocata accanto al ciclo della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso e vicino all'episodio di Caino ed Abele, in un punto che non sembra cronologicamente coerente con l'epoca in cui le vicende di Artù si svolgono. Sarebbe stato più logico ritrovare questa figura mitica vicino a quella dell'Alessandro Magno, nella parte inferiore dell'Albero della Vita.

È comunque chiaro che la completa lettura e interpretazione del Mosaico di Otranto non può dirsi terminata presso i suoi studiosi.

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Note

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