Debora Ascarelli

poetessa e traduttrice italiana ebrea

Debora Ascarelli (variante del nome: Devorà o Devora[1][2]; variante del cognome: Ascariel[3][1]; Roma, ... – Roma, ...; fl. XVI-XVII secolo) è stata una traduttrice e poetessa italiana, considerata la prima donna ebrea che abbia pubblicato propri scritti[2].

Copertina del testo in italiano ed ebraico ad opera di Devorà Ascarelli

Biografia

Nacque a Roma nella prima metà del XVI secolo.[1] Non è noto il suo nome da nubile,[3] anche se qualcuno ipotizza fosse una Ascarelli, cugina del suo futuro marito.[1] Sposò infatti Jospeli[1][3] (o Giuseppe[1][2]) Ascarelli, che era il capo della comunità ebraica catalana locale[3][2][1], posizione che influì sulla notorietà della moglie[3][1].

Si distinse per le sue traduzioni dall'ebraico all'italiano; era già nota intorno al 1540 per la traduzione dell'opera poetica Ma'on Ha'shoalim ("Abitacolo degli Oranti")[2][3] del rabbino Mosè da Rieti.[3] Le sue traduzioni furono raccolte nel 1601/1602 a Venezia in un volume intitolato a seguito dell'opera succitata[2][3][1] e che conteneva anche due poesie originali della donna[2][3], di contenuto religioso, ispirate al modello della poesia di Petrarca.[3]

Alla luce della sua popolarità, sue altre opere sono andate probabilmente perdute.[3][1]

Morì a Roma tra i settanta e gli ottant'anni di età[3], tra la fine del secolo e l'inizio del successivo.[1]

Opere

La raccolta dei suoi lavori contiene le seguenti traduzioni:[2][3][1]

  • L'Abitacolo degli Oranti (Ma'on ha-Sho'alim), poema liturgico di Mosè da Rieti (in rime italiane)
  • Benedici il Signore o anima mia (Barekhi Nafshi), preghiera di rito romano di Bechajè il Pio (in prosa)
  • La Grande Confessione del rabbino Nissim (in prosa)
  • una avodah (preghiera) per lo Yom Kippur sefardita;

due sonetti originali di Ascarelli[2][3][1]:

infine Ape, ingegnosa voli, poesia anonima dedicata ad Ascarelli, probabilmente attribuibile al rabbino David Della Rocca.

I componimenti liturgici erano con testo a fronte in ebraico ed erano probabilmente concepiti per l'uso liturgico in occasione della festa dello Yom Kippur.[2][1]

La critica più recente connota l'autrice del Ritratto di Susanna come «paladina delle donne ebree», in quanto il testo combatteva i pregiudizi verso il suo genere, che si rinfocolavano nel periodo della Controriforma, mettendo in rilievo le virtù femminili di coerenza, integrità e fedeltà.[1]

Note

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