Approvvigionamento idrico e servizi igienico-sanitari in Palestina

Le risorse idriche della Palestina sono completamente controllate da Israele e la divisione delle acque sotterranee è soggetta alle disposizioni dell'Accordo di Oslo II[1].

In generale, la qualità dell’acqua è notevolmente peggiore nella Striscia di Gaza rispetto alla Cisgiordania. Circa un terzo o la metà dell'acqua distribuita nei territori palestinesi si perde nella rete di distribuzione. Il blocco duraturo della Striscia di Gaza e la guerra di Gaza (2008-2009) hanno causato gravi danni alle infrastrutture della Striscia.[2][3] Per quanto riguarda le acque reflue, gli impianti di trattamento esistenti non hanno la capacità di trattarle tutte, causando un grave inquinamento idrico.[4] Inoltre, lo sviluppo del settore dipende fortemente dai finanziamenti esterni e dalla cooperazione israeliana.[5]

Situazione

La regione di Israele/Palestina è caratterizzata dalla scarsità delle risorse idriche, come molti altri paesi della regione, e diversi analisti considerano la condivisione delle risorse idriche il “singolo problema più importante” per i popoli del Medio Oriente. Negli anni ’90 un terzo di tutta l’acqua consumata in Israele proveniva da sorgenti sotterranee che a loro volta provenivano dalle piogge sulla Cisgiordania; la lotta per questa risorsa è stata descritta come un gioco a somma zero.[6] Secondo Human Rights Watch la confisca dell'acqua da parte di Israele viola i Regolamenti dell'Aja del 1907, che vietano allo stato occupante di espropriare le risorse del territorio occupato a proprio vantaggio.[7] Sulla scia degli avvenimenti del 1967, Israele abrogò i diritti idrici palestinesi in Cisgiordania e, con l’Ordine Militare 92 dell’agosto di quell’anno, spostò la gestione totale dell’acqua all’autorità militare, sebbene secondo il diritto internazionale i palestinesi avessero diritto ad una quota.[8]

Entrambe le falde acquifere israeliane hanno origine nel territorio della Cisgiordania e senza di esse le sue città settentrionali si prosciugherebbero. Secondo John Cooley, i pozzi dei contadini palestinesi della Cisgiordania, che nella legge ottomana, britannica, giordana ed egiziana erano una risorsa privata di proprietà dei villaggi,[9] erano un elemento chiave dietro la strategia israeliana post-1967 per mantenere il controllo dell'area e proteggere le "forniture idriche ebraiche" da quella che era considerata un "invasione".[10] Molti pozzi esistenti furono bloccati o sigillati, ai palestinesi fu proibito di perforare nuovi pozzi senza autorizzazione militare (quasi impossibile da ottenere) e furono imposte quote restrittive sull’uso dell’acqua.[11][12] Al 2010, 527 sorgenti in Cisgiordania forniscono ai palestinesi la metà del loro consumo interno.[13] I pozzi storici che riforniscono i villaggi palestinesi sono stati spesso espropriati per l'uso esclusivo degli insediamenti israeliani: così il principale pozzo che serve al-Eizariya fu rilevato da Ma'ale Adumim negli anni '80, mentre la maggior parte della sua terra fu spogliata lasciando agli abitanti del villaggio 2,979 dei loro 11,179 dunam originali.[13]

La maggior parte delle trivellazioni della compagnia idrica israeliana Mekorot in Cisgiordania sono situate nella Valle del Giordano, dove nel 2008 i palestinesi potevano prelevare il 44% in meno di acqua rispetto a quella a cui avevano accesso prima dell'accordo ad interim del 1995.[14] Con gli accordi di Oslo, Israele otteneva l'80% delle acque della Cisgiordania, mentre il restante 20% era palestinese, percentuale che però non concedeva ai palestinesi alcun “diritto di proprietà”.[15] Dei 138,5 metri cubi di acqua concordati per il 2011, i palestinesi sono riusciti a estrarne solo 87, date le difficoltà nell’ottenere i permessi israeliani, e il deficit causato dal prosciugamento della metà dei pozzi palestinesi deve essere parzialmente compensato acquistando acqua da Israele, risultando in una diminuzione del consumo idrico palestinese pro capite del 20%.[16] Il consumo minimo pro capite di acqua secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità è 100 litri al giorno[17]: nel 2022, un palestinese medio ne consuma 82 litri di acqua al giorno, contro i 247 litri di un abitante israeliano.[18] Gli sviluppi urbani modello delle nuove città palestinesi, come la città di Rawabi, sono stati gravemente ostacolati dalle restrizioni sull'accesso all'acqua.[19].

Ad oggi, si stima che il 97% dell'acqua di Gaza sia contaminata, e che stia quindi "avvelenando lentamente" gli abitanti della Striscia.[20]

Note

Bibliografia

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