Distrofia corneale

malattia
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Con distrofia corneale si indica un gruppo eterogeneo di disturbi di natura non infiammatoria, progressivi, non correlati a fattori ambientali, che colpiscono la cornea. Si tratta di disturbi solitamente determinati geneticamente, bilaterali e simmetrici, non associati a disturbi sistemici che causano opacizzazione con conseguente riduzione dell'acuità visiva[1][2][3]. Il termine distrofia corneale è impreciso, ma continua ad essere utilizzato per il suo valore clinico[2] anche se per molti potrebbe avere un significato più storico che pratico[1][4].

Distrofia corneale
Distrofia corneale gelatinosa a goccia
Malattia rara
Cod. esenz. SSNRFG140
Specialitàneurologia
Classificazione e risorse esterne (EN)
ICD-10H18.5
MeSHD003317

Le distrofie corneali sono state individuate nell'uomo, ma anche nel cane e, più raramente, nel gatto.

Definizione e caratteristiche

Il termine distrofia corneale fu introdotto nel 1890 da Groenouw che riportò il caso di 2 pazienti con quelli che definì noduli cornea riferendosi probabilmente ad una distrofia granulare ed a una distrofia maculare. Successivamente Biber chiamò distrofia corneale un caso di distrofia tipo lattice. In seguito il termine fu utilizzato da Fuchs, Uhthoff e Yoshida.[1] La definizione è oggetto di controversia e da alcuni il termine “distrofia” è considerato in certi casi fuorviante visto che alcune forme si manifestano più come malattie degenerative che ereditarie. Inoltre anche in alcune di quelle di cui è stato individuata l'associazione ad un preciso locus non è stato identificato il gene o non si è compreso il carattere di ereditarietà (in genere autosomica dominante o recessiva)[1]. Alcune sono asintomatiche o unilaterali oppure si presentano associate a disturbi sistemici.Sono tipicamente caratterizzate da un’alterazione morfofunzionale conseguente a modificazioni del normale trofismo corneale[3].

Nomenclatura e classificazione

Distrofia corneale granulare tipo I

La natura eterogenea dei disturbi oltre che l'utilizzo fuorviante del termine “distrofia corneale” attribuito a disturbi degenerativi e la tendenza a individuare e denominare nuove forme di distrofia corneale prima che fosse accertata e condivisa l'effettiva esistenza di una nuova malattia, ha generato molte incomprensioni ed in certi casi errate diagnosi[1][5].

Per dirimere le controversie sulla classificazione e nomenclatura delle distrofie corneali si è costituito l’International Committee for Classification of Corneal Dystrophies (IC3D) che nel 2008 ha proposto una classificazione, poi aggiornata nel 2015.Le distrofie della cornea si possono classificare clinicamente in gruppi, in base alla localizzazione anatomica dell'anomalia. Alcune colpiscono soprattutto l'epitelio corneale, la sua membrana basale o lo strato di Bowman e lo stroma corneale superficiale (distrofie corneali anteriori), lo stroma corneale (distrofie corneali stromali), o la membrana di Descemet e l'endotelio corneale (distrofie corneali posteriori)[4]. Nella revisione del IC3D è stata superata una classificazione troppo dipendente da specifici strati corneali, raggruppando le distofie corneali in epiteliali e subepiteliali, stromali, endoteliali. Le diverse distrofie che possono colpire diversi strati ma dipendono da un unico gene (TGFBI) e locus vengono raggruppate in un quarto gruppo definito epiteliale-stromale[1]. I recenti progressi della genetica molecolare hanno identificato molti dei difetti genetici responsabili della maggior parte delle distrofie corneali[4][6], ma la rapida e continua evoluzione delle informazioni sulle basi genetiche delle distrofie corneali oltre che alcune distrofie dipendenti da decine di mutazioni[7], hanno portato nel 2015 alla decisione dell'I3CD di non specificare gene e locus delle diverse distrofie.

Classificazione IC3D (2015) delle Distrofie Corneali[1]Basi genetiche[1][4]
GruppoDistrofia cornealeCategoriaEreditarietàLocusGene
Epiteliali e subepiteliali
della membrana basale epiteliale (EBMD)1 in casi rariper lo più degenerativa, sporadica5q31TGFBI in casi rari
delle erosioni epiteliali ricorrenti (ERED) e varianti: Franceschetti(FRCD), Smolandiensis(DS), Helsinglandica(DH).4-3Autosomica dominanteSconosciutoSconosciuto
Mucinosa subepiteliale (SMCD)4Autosomica dominanteSconosciutoSconosciuto
di Meesmann (MECD)1Autosomica dominante12q12, 17q12KRT3, KRT12
Epiteliale di Lisch (LECD)2cromosoma X dominanteXp 22.3Sconosciuto
Gelatinosa a goccia (GDCD)1Autosomica recessivaIp32TACSTD2
TGFBI epiteliali-stromali
di Reis-Bucklers (RBCD)1Autosomica dominante5q31TGFBI
di Thiel-Benke (TBCD)2Autosomica dominante10q24Sconosciuto
Reticolare (Lattice), tipo I (LCDI)1Autosomica dominante5q31TGFBI
variante (III, IIIA, I/IIIA, IV) della LCDI1Autosomica dominante5q31TGFBI
Granulare tipo I (GCDI)1Autosomica dominante5q31TGFBI
Granulare tipo II (GCD2) – di Avellino1Autosomica dominante5q31.TGFBI
Stromali
Maculare (MCD)1Autosomica recessiva16Q22CHST6
di Schnyder (SCCD)1Autosomica dominante1p36UBIAD1
Congenita stromale (CSCD)1Autosomica dominante12q31.33DCN
di Fleck (FCD)1Autosomica dominante2q35PIP5K3
Posteriore amorfa (PACD)3Autosomica dominanteSconosciutoSconosciuto
della nebulosa centrale di Francois (CCDF)4SconosciutaSconosciutoSconosciuto
Pre-Descemetica1-4SconosciutaSconosciutoSconosciuto
Endoteliali
di Fuchs (FECD) a comparsa tardiva1-2-3Sconosciuta, a volte Autosomica dominante13pter-q12.13 (FECD2),
18q21.2-q21.3 (FECD3),
20p13-p12 (FECD4),
5q33.1-q35.2 (FECD5),
10p11.2 (FECD6),
9p24.1-p22.1 (FECD7),
15q25 (FECD8).
Sconosciuto,TCF8, SLC4A11
di Fuchs (FECD) a comparsa precoce1Autosomica dominanteIp34.3COL8A2
Posteriore polimorfa (PPCD) 12Autosomica dominante20p11.12-q11.2Sconosciuto
Posteriore polimorfa (PPCD) 21Autosomica dominanteIp34.3-p32.3COL8A2
Posteriore polimorfa (PPCD) 31Autosomica dominante10p11.12ZEB1
Endoteliale congenita ereditaria (CHED)2Autosomica dominante20p11.12-q11.2Sconosciuto
Endoteliale legata al cromosoma X (XECD)2cromosoma X dominanteXq25Sconosciuto
Legenda: – Categoria 1: distrofia ben definita, di cui un gene specifico responsabile è stato mappato e identificato– Categoria 2: distrofia ben definita, di cui un gene è stato mappato in uno o più loci cromosomici specifici, ma altri geni non sono ancora stati individuati– Categoria 3: distrofia ben definita, i cui geni responsabili non sono ancora stati mappati– Categoria 4: distrofia nuova, o documentata in passato, in cui l’evidenza che si tratti di un’entità distinta non è del tutto convincente[1] TGFBI: gene del fattore di crescita trasformante beta indotto.

Le distrofie corneali di categoria 4, emergendo nuove prove in grado di distinguerle dalle altre distrofie, possono passare ad una categoria inferiore. In caso contrario possono venir cancellate, come è stato deciso dal IC3D per la distrofia di Grayson-Wilbrandt[1][8] .

Diagnosi

Il sospetto di distrofia corneale sorge nel caso di perdita della trasparenza corneale o di opacizzazione spontanea della cornea, soprattutto se bilaterale, e qualora siano presenti altri soggetti affetti nella famiglia. La diagnosi clinica si basa sull'età di esordio e sull'aspetto clinico della cornea al biomicroscopio con lampada a fessura. Per definire il tipo specifico di distrofia o degenerazione è necessario l'esame con microscopia ottica e microscopia elettronica a trasmissione (TEM) del tessuto corneale. Nei sottotipi di distrofie di cui è nota la mutazione genetica si può eseguire l'analisi molecolare per confermare la diagnosi[2].

Diagnosi differenziale

In assenza di test genetici e elementi di contesto (famigliarità) la diagnosi differenziale può risultare complessa dovendosi confrontare con le gammopatie monoclonali, l'amiloidosi, il deficit di lecitina-colesterolo-aciltransferasi, la malattia di Fabry, la cistinosi, la tirosinemia tipo 2, le malattie sistemiche da accumulo lisosomiale (mucoplisaccaridosi, lipidosi, mucolipidosi) e varie malattie della cute (ittiosi X-linked, cheratosi follicolare spinulosa decalvante)[2].

Note

Voci correlate

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